Considerazioni sparse sul ruolo odierno delle biblioteche

Vi proponiamo un articolo di Gioacchino De Chirico apparso lo scorso martedì 3 febbraio 2015 su Tafter.it.  Ovviamente ne condividiamo il pensiero a monte che rispecchia la filosofia della nostra biblioteca.

Buona lettura!


Le biblioteche: molto più che beni culturali

di Gioacchino De Chirico*

Sono molti gli elementi che fanno pensare che le biblioteche pubbliche in Italia stiano vivendo un momento di rinnovata attenzione. Dimenticate per anni da politici e amministratori e vittime indirette dell’ideologia dominante che ha diffuso la percezione che la cultura sia una cosa “inutile”, le biblioteche oggi sono al centro di molte discussioni. Della loro importanza se ne sono accorti anche Android e Apple che hanno deciso di segnalare gli 11mila siti delle biblioteche dell’anagrafe dell’Abi. Questi fatti vanno certamente salutati con favore, ma come tutto quello che emerge all’improvviso da una superficie stagnante, vanno anche considerati con prudenza, cercando di fare chiarezza.

I motivi di questo rinnovato interesse sono legati essenzialmente a due fattori, dai quali ne conseguono altri. Il primo risiede nel fatto che con l’avvento delle città metropolitane le diverse realtà di biblioteche pubbliche sul territorio vanno messe a sistema. Il secondo riguarda invece l’uso che, in questi ultimi anni, cittadini e associazioni hanno fatto delle biblioteche che da molto tempo hanno smesso di essere solo punti di conservazione e di prestito, ma sono diventati luoghi qualificati di socializzazione. Nelle biblioteche si tengono corsi di italiano per stranieri, si proiettano film, si ascolta musica, si fanno corsi di illustrazione, si riuniscono gruppi di lettura, si leggono quotidiani e riviste e si ha accesso gratuito a internet.

In primo luogo, le biblioteche sono diventate una risorsa per i soggetti svantaggiati come gli anziani, i disoccupati e qualche volta anche gli homeless. E’ frequente vedere code di persone di una certa età che vanno in biblioteca per leggere il giornale come pure è noto dai dati statistici che una buon quota di domande di lavoro venga trasmessa proprio dai computer delle biblioteche. Nelle biblioteche di quartiere si ritrovano gli studenti universitari, spesso fuori sede, che non possono studiare con tranquillità nelle case dove vivono insieme a (molti?) altri. Alle biblioteche fanno riferimento le associazioni culturali che, spesso a titolo gratuito e in collaborazione con le scuole, animano attività legate ai momenti della storia del nostro paese e alla sua dimensione culturale.

Insomma: le biblioteche sono l’unico momento pubblico di presidio culturale diffuso sul territorio e rappresentano occasione qualificata di ricostruzione di un tessuto sociale slabbrato dai nuovi modelli di produzione e consumo. Ma c’è da aggiungere che, proprio per questo, in molti casi vanno ripensate, anche in modo radicale. Se è vero che sono momenti di socializzazione, è inutile che abbiano al loro interno solo strutture rigide (tavoli e sedie) e non possano prevedere che le persone si siedano a terra o su poltroncine pensate alla bisogna. E’ sbagliato che non prevedano punti di ristoro che potrebbero consentire anche un aumento degli introiti per i loro sistemi di riferimento. Ed è limitato credere che nelle biblioteche ci possano lavorare solo laureati in biblioteconomia e non anche animatori culturali, singoli o associazioni, che svolgano l’incarico di formulare e gestire un programma nel breve o nel medio periodo. Le biblioteche devono estendere i loro orari di apertura arrivando a coinvolgere anche i fine settimana quando le persone hanno quel tempo libero in più che possono dedicare anche alle loro attività culturali preferite.

Dovrebbero essere molto più “visibili” di quanto non lo siano ora, poiché sono state spesso allestite in spazi lasciati liberi dalle scuole o da altri locali comunali e non costruiti per “andare incontro” all’utenza ma per essere “protetti”. Devono costituire dei poli di informazione a cittadini e turisti che riguardano la città e le opportunità che essa offre. Devono essere al passo con i cambiamenti tecnologici e offrire sempre, in via gratuita, il meglio di questi servizi. Devono seguire i cambiamenti delle grandi città in cui i centri storici si svuotano a favore di periferie spesso inospitali e prive di poli di aggregazione. Devono essere il motore che costruisce reti virtuose con le associazioni, le scuole e le altre istituzioni culturali. Tutto questo purtroppo riguarda solo le biblioteche del centro-nord del nostro paese, perché da Napoli in giù i ritardi su questo versante sono quasi irrecuperabili.

In questo quadro si sono affermati sistemi diversi tra loro che rispecchiano le peculiarità e la storia di ogni territorio e che costituiscono tutti un elemento di forte interesse. Dal sistema torinese molto attento ai legami con i beni culturali a quello milanese dell’ovest che sta già lavorando con successo sul tema della città metropolitana fino a Ravenna e a Bologna che vanta una bellissima biblioteca centrale, Sala Borsa, e la collaborazione di ben due Fondazioni. Infine c’è l’Istituzione delle Biblioteche di Roma, il più esteso in Italia, con le sue 39 sedi, 20 bibliopoint gestiti insieme alle scuole e una serie di progetti speciali legati alle carceri e al multiculturalismo. Tutte queste realtà, vista la loro complessità, godono di una forte autonomia progettuale, l’unica in grado di rendere possibile un servizio non occasionale e specializzato sul sistema. Ma tutte si devono confrontare con un grande problema, dove trovare le risorse economiche.

Su questo bisogna fare chiarezza: le biblioteche non sono assimilabili in alcun modo a un “bene culturale”. Se è possibile trovare una sorta di sponsor che, sempre sotto il controllo del pubblico, metta mano ai restauri del Colosseo o dei Fori, questione ben diversa è quella delle biblioteche. Attualmente vi sono interessanti esperienze di fundraising come ad esempio per il sistema dei Castelli romani e c’è l’esperienza delle fondazioni a cui si è già fatto riferimento, ma le biblioteche devono trovare una propria strada specifica di sostegno che, territorio per territorio, faccia innanzitutto riferimento al pubblico e poi cerchi integrazioni qualificate e non occasionali con il privato. Quella del fundraising è una strada possibile a fronte anche dei formidabili data base che sono a disposizione delle biblioteche. Poi c’è l’Art Bonus e le opportunità che riserva la relativa normativa. Infine ci sono gli introiti delle tessere, contenuti ma da non sottovalutare per la carica simbolica e di partecipazione che rappresentano. E qui viene il punto. Una realtà come quella descritta si può “misurare” solo valutandone il valore immateriale che essa rappresenta.

Le biblioteche non sono assimilabili in alcun modo ai beni culturali – come già detto. Esse ricordano più da vicino l’erogazione dell’acqua per bere, per lavare, per cucinare, per vivere insomma. Sono una delle scommesse che il nostro paese ha a disposizione per tentare di colmare il vuoto di cultura diffusa che c’è stato in questi anni in cui le competenze linguistiche sono fortemente decadute e, con loro, le capacità di tutti e di ciascuno, di esprimersi, di farsi un’opinione, in definitiva di partecipare. Sono un contributo alla democrazia nel nostro paese. Non sono un giocattolo che si smonta e si rimonta in nome dell’ideologia dei tagli che sembra poter giustificare in modo acritico ogni intervento politico e amministrativo. Se alle biblioteche si toglie la possibilità di espandersi e di crescere, si toglie a tutti noi una possibilità qualificata di cittadinanza.

*Gioacchino De Chirico è un giornalista culturale ed esperto di comunicazione

Fonte: www.tafter.it/2015/02/03/le-biblioteche-molto-piu-che-beni-culturali-di-gioacchino-de-chirico